Vertical Courmayeur-Mont Blanc: al cospetto di Sua Maestà

Vertical Courmayeur-Mont Blanc: al cospetto di Sua Maestà

Lorenza Bernardi

Cronaca di un vertical feroce di 11 km per 2000 metri di dislivello che avrebbe potuto diventare una disfatta e invece si è rivelato l’ennesima lezione di vita.

8 Agosto 2022

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Vi è mai capitato di partire per una gara con l’idea di spaccare il mondo e poi di ritrovarvi poco dopo a combattere con una vocina che cerca di convincervi a ritirarvi? Bene, a me sì e l’ultima volta è capitato sabato 30 luglio. Ma accettate un consiglio: non ascoltatela, quella vocina.
Be’, sia chiaro: quel ‘non ascoltatela’ è detto con riserve, perché a volte ci possono essere motivi molto seri che vi possono spingere a ritirarvi, soprattutto quando si tratta di un problema che comprometterebbe la vostra salute.
Parlo invece di quelle situazioni in cui è la nostra testa a boicottarci, vuoi perché avevamo delle aspettative che la realtà disillude, vuoi perché lo sforzo si è rivelato troppo elevato (e troppo prolungato) con un costo energetico sproporzionato.
Quello che è certo è che alla base di questi pensieri vorticanti c’è un solo e unico fattore, che Pietro Trabucchi nei suoi libri chiama valutazione cognitiva.
La valutazione cognitiva è quando in testa ho un’idea x (quindi una determinata aspettativa) mentre la realtà mi restituisce un’immagine y: questa mancanza di corrispondenza tra x e y mi manda in crash e mi fa sprofondare in una vera e propria crisi.
A quel punto gli scenari possono essere:

  • assecondare la crisi, continuare a ripetersi ‘questa cosa non fa per me’, ‘non mi sto divertendo’, ‘chi me lo fa fare?!’ e mollare;
  • riconoscere (la consapevolezza è il primo passo) che si è in crisi a causa di una percezione cognitiva sbagliata, quindi decidere di fare tabula rasa delle nostre aspettative, switchare e spostare l’obiettivo.

Ancora una volta sta a noi decidere come vedere gli eventi che ci accadono.


Sabato 30 luglio ho optato per la seconda strada.
Mi presento sulla linea di partenza cosciente di avere fatto zero allenamenti specifici per questo tipo di sforzo da altissima montagna, ma vuoi perché avevo altri ricordi di edizioni passate, dove me l’ero cavata benino, vuoi perché comunque sono una persona allenata, ero confidente di come avrei affrontato quegli 11 km partendo da 1400 m fino ad arrivare a 3560 m, ovvero 2000 metri di dislivello da bersi tutti in un fiato.
Countdown ore 8 e in 3, 2, 1… si parte.

Mi metto subito al mio passo e nello spazio di soli 30” i miei pensieri passano da ‘Mamma mia come stanno bene le gambe, oggi!’ a ‘Mamma mia come mi bruciano le gambe, oggi! Sarà un delirio!’.
E ovviamente è iniziato il delirio.
La gara la conoscevo bene perché l’avevo già fatta diverse volte: i primi 1000 metri mi avrebbero portata fino al rifugio Pavillon, dove ci sarebbe stato il primo ristoro; da lì avrei dovuto indossare il casco da scalata per percorrere i successivi 1000 metri di dislivello fino al rifugio Torino Nuovo (passando per i corridoi ventosi del Torino Vecchio) e sarebbe stato il pezzo più duro per via dell’altitudine, ma anche il più divertente perché completamente esposto, una vera e propria arrampicata ‘mani a terra’ sulle rocce, tant’è che ci sarebbe stato l’obbligo di abbandonare gli eventuali bastoni.
Fino al rifugio Pavillon i pensieri ‘autosabotanti’ sono fioccati come tappi di champagne il 31 di dicembre. Ma alla fine ero certa di avere trovato la soluzione giusta giusta per me: avevo 30 euro nello zaino da spendermi al rifugio, come concorrente ritirata, in un ottimo aperitivo rinforzato con birre Courmayeur.


Ma poi…
Poi non si hanno cinquant’anni per niente. E io i libri di Trabucchi li ho letti (e consigliati) eccome e so pure come funziona la testa; ero cosciente di avere avuto aspettative sbagliate su come sarebbe andata la gara; ed ero anche cosciente che la débacle mentale definitiva era avvenuta quando una signora molto più anziana di me e dal fisico molto meno in forma (in apparenza!), mi aveva superato somministrando un sonoro schiaffo al mio orgoglio. Le ho riconosciute tutte, queste sensazioni, e per mia fortuna ho dato loro un nome.
Così, arrivata al Pavillon, mentre stavo bevendo un bicchiere di Coca-Cola al ristoro con davanti a me un vero e proprio bivio, sia reale che mentale, dove a destra c’era l’entrata del rifugio con accanto il contenitore per depositare i chip dei ritirati, mentre a sinistra il sentiero proseguiva con la distesa dei caschi da indossare per i restanti 1000 m di dislivello, ho deciso.
Finito di sorseggiare la Coca, ho guardato su, fino a Punta Hellbronner, e mi sono incantata in un attimo eterno: la giornata era strepitosa, il palcoscenico era mozzafiato e sapevo che al rifugio Torino la vista sul Monte Bianco e sul Dente del Gigante mi avrebbe riempito per il resto dei mesi successivi, soprattutto in quelli grigi e uggiosi dell’autunno milanese. Un ricordo felice a cui aggrapparmi tutte le volte che avrei voluto.
‘Ora rallenti il passo e vai su godendoti il panorama’ mi sono detta. ‘Puntiamo a essere finsher in modo dignitoso’.
Così ho salutato i volontari, ho afferrato il casco e mi sono involata verso la cima, a fare un pieno di bellezza e a prendermi ciò che in realtà era già lì.
Salire con questa leggerezza è stata una rivoluzione. Il sorriso è ricomparso, ho assaporato ogni singolo passo, mi sono divertita a ogni metro di dislivello compiuto, ho rallentato quando c’era da fare i conti con una quota sempre più spietata e ho azzardato qualche accelerazione quando il fisico me lo concedeva. A mano a mano che salivo e il rifugio si avvicinava pregustavo la gioia dell’arrivo, quando mi sarei arrampicata per la scaletta, abbandonandomi poi tra le braccia della guida alpina.
E quando questo momento è arrivato davvero, il volo poetico di un uccello sulla destra ha suggellato la meraviglia.
Spesso dentro di noi abbiamo già tutte le soluzioni, basta solo riconoscerle…

Infine lasciatemi spendere due parole sul circuito di gare di cui questa k2000 faceva parte. Una due giorni davvero ricca, dove sabato 30 ci si poteva misurare sia sul Vertical 2000 ma anche sul Vertical 1000, con traguardo al Pavillon. E sempre nello scenario antistante il rifugio anche i kids hanno potuto provare l’ebbrezza della corsa in quota con mini competizioni dedicate a loro.
Domenica 31, per gli amanti delle lunghe distanze, c’era il Trail del Battaglione, un periplo di 60 km e ben 4600 m di dislivello (salite al Mont Cormet, Bivacco Pascal, Colle Liconi, Colle Battaglione Aosta, Colle entre Deux Sauts, Col Sapin, Rifugio Pavillon) lungo sentieri tecnici e selvaggi, vegliati sempre dallo sguardo di sua Maestà il Bianco.

Una vera e propria festa con unico protagonista lui, il Monte più alto e affascinante della Valle d’Aosta, da sempre meta di imprese epiche degli alpinisti e questa volta benevolo spettatore delle sfide degli atleti contro se stessi e il cronometro.

 

Foto: Stefano Jeantet (copertina e ultima foto), Gabriella Malusardi (seconda e terza foto) e Roberto Roux (prima foto)

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