L’ultracyclist Omar di Felice ha completato anche la tratta islandese
L’ultracyclist Omar di Felice ha completato anche la tratta islandese della sua attuale sfida estrema, il “The Artic World Tour”. Si tratta di un viaggio in bici in solitaria e in autonomia lungo e attraverso le tre linee di demarcazione dei confini artici.
Omar è partito dalla penisola russa Kamchatka, ha pedalato qui i suoi primi 800 km e poi, per altri 1200 km, ha attraversato tutta la Lapponia passando per Finlandia, Svezia e Norvegia. Poi ha pedalato sulle isole Svalbard e in Groenlandia, per altri 200 km.
E da pochi giorni ha concluso anche la tratta di viaggio in Islanda, per altri 500 km.
Finora ha quindi pedalato già più di 2700 km.
Stiamo seguendo Omar per tutta la sua avventura, non solo attraverso gli articoli sul blog, ma anche seguendone la rotta in diretta LIVE attraverso ENDUlive, il sistema di tracciamento realizzato da ENDU. ENDUlive riceve il segnale dei dispositivi inReach e permette di visualizzare costantemente la posizione di Omar sulla mappa.
Ecco il resoconto di Omar Di Felice sulla parte di viaggio islandese:
“In Islanda ho pedalato per circa 500 km. Ho attraversato il Parco Nazionale Snæfellsjökull, che deve il suo nome all’omonimo ghiacciaio. Questo luogo per me è simbolico ed è stato importante arrivare fin qui per sensibilizzare l’attenzione sui cambiamenti climatici.(ricordiamo infatti che l’avventura di Omar nasce anche per informare l’opinione pubblica sulle modificazioni causate dai cambiamenti climatici, prime tra tutte lo scioglimento di alcuni ghiacciai, ndr).
Mi aspettavo in Islanda una parte di avventura più tranquilla. Ero già stato qui e conoscevo il clima che caratterizza l’isola. Qui le temperature sono generalmente meno severe che in Groenlandia.
Nel mio immaginario avrei dovuto confrontarmi con situazioni più semplici di quelle incontrate nei chilometri precedenti. Però l’Islanda ha anche un’altra faccia della medaglia che è quella di presentare una variabilità meteo che non ha eguali nel mondo, soprattutto a causa dei forti venti che arrivano dal mare. Le bufere che si scatenano qui non le ho mai visto da nessuna altra parte.
Quando penso all’Islanda e al suo meteo, mi viene sempre in mente il detto che lessi anni addietro sulla LonelyPlanet dedicata a questa terra: “L’Islanda non è un paese per stupidi”.
Qui se non controlli bene il meteo prima di uscire di casa, rischi davvero la vita. E non lo dico per retorica. Il primo giorno ho trovato delle bufere molto forti. Tant’è che gli ultimi 20 km prima di arrivare nel Parco Nazionale dello Snæfellsjökull, sono stati forse i più duri di tutto il mio “The Artic World Tour”.
Ho portato la bici a spinta, a fatica, ad Arnarstapi, un piccolo villaggio che mi ero prefissato di raggiungere a fine tappa. E da quel momento in poi mi sono ricordato come l’Islanda sia un concentrato di fatica e gioia. Infatti la mattina successiva la bufera era terminata e la natura si è rivelata nuovamente in tutta la sua splendida bellezza.
Tanta neve, cielo di un azzurro luminoso, la maestosità del ghiacciaio dello Snæfellsjökull,la bellezza dell’aurora boreale di notte.
È stata una di quelle giornate memorabili che mi ricorderò per sempre.
Dal punto di vista organizzativo, ho utilizzato la fatbike che avevo anche in Groenlandia perché avrei perso troppo tempo a cambiarla con la gravel bike. La gravel bike la recupererò ora per completare l’ultimo tratto di questa avventura tra Canada e Alaska.
La fatbike stavolta era priva di slitta: in Islanda è possibile trovare un villaggio ogni 60, 70 chilometri. Quindi ho sempre avuto la possibilità di rifornirmi e dormire al chiuso, in piccole gasthaus.
Come già dicevo, conoscevo l’Islanda e questo ha contribuito a farmi vivere l’avventura in modo più rilassato. Conoscevo la cultura, la morfologia, il clima, e sapevo cosa aspettarmi e come muovermi anche a livello logistico.
Sono stati 500 km di puro godimento, anche perché amo questa terra ed è uno dei posti al mondo dove più mi piace pedalare.
Ora invece credo mi aspetti la parte più dura. I chilometri dallo Yukon, in Canada, all’Alaska, saranno sicuramente più complicati. Sia per la stanchezza fisica, sia per quella mentale. È tanto tempo che sono fuori casa e diventa sempre più impegnativo mantenere alta la concentrazione.
E se è vero che dal punto di vista astronomico l’inverno è già finito, è altrettanto vero che dalla metà di marzo a fine aprile la coda delle basse temperature può essere più estrema addirittura delle temperature invernali di febbraio. Soprattutto alla luce delle medie stagionali degli ultimi anni.
Mi preparo a ogni condizione meteo. Conto di pedalare in Nord America per una decina di giorni. A quel punto la mia avventura sarà completata. Continuate a seguirmi!”
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