Ambasciatori dello Sport, ci vorrebbero fatti, non foto

Ambasciatori dello Sport, ci vorrebbero fatti, non foto

Davide Labanti

44 anni fa nella prova maschile alla maratona di Reggio Emilia su 147 ben 10 conclusero sotto le 2h20’. Nel 2020 solo in 6, con scarpe ultra performanti.

21 Dicembre 2020

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Nonostante questa maledetta pandemia pochi giorni fa si sono corsi a Reggio Emilia i Campionati Italiani di Maratona.

Per il ritorno di questa manifestazione nella città del tricolore è stato riproposto un articolo del 1976 del mitico Giacomo Crosa.

44 anni fa nella prova maschile reagirono allo sparo dello starter in 147. Di questi ben 10 conclusero sotto le 2h20’.

Podio: nell’ordine Ciondolo in 2h11’50, Fava 2h12’54 e Magnani 2h13’05, 10° Paolinelli in 2h19’22.

Paragoni rispetto all’edizione Covid-19?

Onore al campione 2020, Grano in 2h14’31’’, numero di partecipanti più o meno simile, solo in 6 sotto le 2h20.
Vedendo le foto dell’epoca, associate all’articolo di Crosa, mi è venuta voglia di raccontare una storia.

Oggi racconterò la storia di Luciano Benati.

 Chi è questo atleta, classe Dicembre 1953?

Luciano è una delle persone che hanno segnato indelebilmente la mia vita dal punto di vista umano, sportivo e professionale ma cominciamo dall’inizio.

Anno 1970: Luciano (il Benny) ancora da Junior stampa un 3’57’’ nei 1500 in pista e 1h11’ nella mezza maratona.

Inizia gli studi Isef e da amatore nel 1973, già falcidiato da infortuni ai tendini, alla maratona di San Silvestro a Forlì ferma il cronometro a 2h27’.
Tutto questo senza scarpe iper-performanti, anzi correndo con le Adidas Gazelle, soprattutto senza le conoscenze delle tecniche di allenamento di oggi: senza Stryd o cardiofrequenzimetro, solo orologio, tartan e tanto feeling.

Nella nostra città, Bologna, si allenava con il grande Vito Melito, prematuramente scomparso da poco.
Pionieri delle corse su strada, colline e campi attorno alla nostra città erano il loro terreno di allenamento. È rimasto famoso l’aneddoto che mi raccontò delle sue corse sul balcone all’alba per allenarsi, precursore anche dei recenti lockdown, perché all’epoca non si era soliti uscire a correre prima del lavoro.

Vi racconto del Benny, non solo per le sue prestazioni sportive, ma soprattutto perché è sempre andato fiero del suo ruolo di amatore ed aggiungo io promotore dello sport per la salute ed il benessere psicofisico.
Oltre ai risultati precedentemente citati, ha partecipato a svariate maratone, parecchie delle quali corse sotto le 2h40’, a gare di Sci di fondo estreme in Scandinavia, è stato 7 volte IRONMAN (dopo i 50 anni 12h40 a Klagenfurt) e a 55 suonati presente alla maratona di Firenze chiusa in 3h16’. Potrei continuare quasi all’infinito, mi limito a dire che il minimo comune denominatore è sempre stato tagliare il traguardo con il sorriso.

Era presente alla prima edizione del triathlon di Ostia nel 1984 ed è stato premiato nell’ultima disputata;  dalla sua passione sono nate alcune manifestazioni promozionali e ci ha fatto conoscere il triathlon, contribuendo alla formazione del gruppo, di giovani, ormai tutti sopra i 40, che continua a gareggiare per il gruppo sportivo Vigili del Fuoco di Bologna, seguendo il suo esempio.
Concludo citando la sua ultima ‘impresa’: il Cammino di Santiago, senza stress e senza obiettivi, portato a termine in 30 giorni, senza interruzioni (sono 900 km).

Nella mia visione Luciano Benny Benati ha incarnato perfettamente la figura dell’amatore e ambasciatore dello sport. Ama quello che fa e contribuisce alla promozione delle attività a tutto tondo, mettendo al primo posto la salute e la condivisione di esperienze.  Ha spronato me egli altri della squadra quando ognuno di noi presentava le proprie perplessità per il fondo di gara o le ansie per non essersi preparato o per le condizioni climatiche: “Non si può essere in ansia prima di fare ciò che ti fa stare bene, è impossibile.”.
Ci ha accompagnato ed incitato sul percorso, come pure preso in giro e sdrammatizzato le situazioni, quando ironicamente chiedeva se avessimo portato le scarpe chiodate, salvo poi rassicurarci con un sorriso dicendo che lui unico ‘atleta’ non le aveva con sé.

Il Benny ci ha insegnato e ci insegna che la prestazione potrà essere solo una conseguenza del benessere psicofisico generato durante il percorso degli allenamenti e dall’atteggiamento mentale espresso in quelle situazioni, il famoso mindset.

In un mondo in cui i professionisti stanno sopravvivendo solo grazie ai gruppi sportivi militari e in cui al contrario si finanziano brand Ambassador, in cui like e visualizzazioni contano molto più delle competenze tecniche o della coltivazione dei talenti, aprirei una riflessione sugli investimenti per lo sport professionistico e giovanile, volti alla crescita del movimento in generale.

Un obiettivo potrebbe essere il rimettere al centro, partendo da tutti noi in prima persona, competenza e passione, la promozione sportiva e del talento, ci aspetta altrimenti un futuro sempre più in chiaroscuro ed un abbassamento del livello tecnico, come da recenti risultati.

Ripartiamo quindi dalle fondamenta: resistenza aerobica e tecnica, condite da tanta passione e voglia di mettersi in pista o in gioco.

Un po’ meno foto e condivisioni social o meeting e corsi on-line, perché occorre consumare le scarpe per costruire lo sport che vogliamo, ad ogni livello.

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commenti

La storia di Luciano Benati è emblematica di un'epoca. Si soffriva ma ci si divertiva, si era disposti a notevoli sacrifici prima o dopo il lavoro. A orari impossibili. Non c'erano gli integratori e le teconologie che ci sono oggi, c'era una programmazione abbastanza rudimentale degli allenamenti ma c'era una passione stratosferica e irrefrenabile. Ora stiamo assistendo ad una trasformazione in regressione. Perché non esaminarne adeguatamente le cause?

Paola Formiconi - 2021-01-12 16:21:25

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