Telaio gravel: acciaio, alluminio e carbonio
Le bici gravel non sono più solo una semplice tendenza. Volete un esempio? Se nel 2006 al via della celebre Dirty Kanza – Stati Uniti, Kansas, località Flint Hills – c’erano solo 34 atleti nel 2019 i ciclisti erano oltre 2mila e 700. Il “fenomeno gravel” nell’ultimo lustro ha calamitato sempre di più l’attenzione degli appassionati delle due ruote a pedali anche in Europa. Diversi i motivi: voglia di vivere un ciclismo meno impostato, libero dai vincoli imposti dall’asfalto grazie ad un mezzo che attraverso piccoli aggiustamenti tecnici è in grado di assicurare alte doti di polivalenza.
Il ciclista su strada ha così la possibilità di “staccarsi” dai soliti percorsi di allenamento per vivere nuove esperienze in totale libertà, lontano dal traffico, dai pericoli delle strade senza stravolgere il suo assetto. L’appassionato della MTB, proveniente da qualunque disciplina, ha la possibilità di misurarsi su percorsi sterrati scorrevoli e misti che molto hanno da spartire con il divertimento grazie ad un mezzo veloce che può essere utilizzato anche come bici da strada con un cambio ruote. Senza contare la fetta di cicloviaggiatori e bikepacker che passano in sella le giornate, le vacanze o intraprendono avventure in solitaria. In sostanza, il gravel è una buona terra di mezzo dove l’orizzonte è molto ampio al punto da abbracciare una platea variegata. Le aziende se ne sono accorte. È cresciuta la disciplina ed è cresciuto di conseguenza l’impiego e l’impegno di risorse destinate alla ricerca e sviluppo del prodotto. Le bici gravel oggi godono di una vera e propria identità e le gamme sono differenziate secondo specifici segmenti che richiamano le destinazioni d’uso: racing, adventure, leisure, etc…
Noi abbiamo fatto quattro chiacchiere con Claudio Salomoni, responsabile dello sviluppo prodotto per Wilier Triestina, storica azienda di Rossano Veneto (Vi).
«A livello generale – precisa Claudio – le migliori leghe di alluminio non possono competere con i migliori moduli in fibra di carbonio. Attenzione non sto dicendo di mettere da parte l’alluminio che riesce sempre e comunque a garantire una buona leggerezza. Parliamo però di un materiale molto “secco”, meno elastico quando entrano in gioco forze verticali. La fibra di carbonio è e rimane ad oggi il miglior materiale per un telaio gravel e non solo: lavorando sulla composizione, la relativa disposizione dei fogli “layer” e le resine è possibile agire sulla struttura di piccole parti di un tubo o dei punti nevralgici come la scatola del movimento centrale. Il carbonio è un materiale che offre spazi creativi notevoli anche in termini di resa estetica. Ben sappiamo che anche l’occhio vuole la sua parte, ma in questo campo le forme vanno a braccetto con la sostanza. Acciaio e alluminio per un marchio come Wilier orientato alla competizione rimangono buoni materiali, ma sono complementari ovvero completano la gamma prodotto. Se leggerezza e prestazioni racing non sono una priorità ecco che questi due materiali svolgono una funzione cruciale. Pensiamo ad esempio all’entità economica molto accattivante in fase d’acquisto».
«Se vogliamo approcciare l’alluminio in ambito gravel è utile tenere presenti alcuni accorgimenti. Queste leghe tendono a disperdere meno le sollecitazioni derivanti da fondi stradali sconnessi. Il ciclista è più esposto allo stress. Avere una bici più morbida con coperture più larghe e spalla più alta aiuta a disperdere le vibrazioni. Una gravel in alluminio è adatta a tutti coloro che amano divertirsi e pedalare per tenersi in forma senza rinunciare ai canoni di una bicicletta polivalente».
«Se però modifichiamo le destinazioni d’uso e gli scenari d’impiego ecco che l’acciaio inizia ad essere interessante: più confortevole dell’alluminio, più pesante del carbonio e soprattutto facilmente riparabile anche in una semplice officina. Un aspetto da non trascurare se si è orientati al gravel adventure ed al bikepacking in zone tradizionalmente poco battute dai ciclisti».
Quali sono quindi i punti di forza della proposta gravel elaborata da una grande azienda?
«Wilier è un marchio diffuso in tutto il mondo e di conseguenza l’azienda è molto attenta ai riscontri provenienti da clienti, negozianti, atleti professionisti e non. C’è quindi una mole di stimoli molto importante che permette di orientare le scelte commerciali, ma anche e soprattutto lo sviluppo di nuovi prodotti. Vengono individuati i principali bisogni, si fa il paio con le innovazioni tecniche cercando di individuare la miglior soluzione possibile per un determinato utente medio. Nasce così una bicicletta che presenta alcune macro carattersitiche che daranno risposte diverse al ciclista a seconda di determinate variabili. Lo stesso mezzo, ad esempio, darà riscontri differenti a seconda del peso del ciclista».
«Il bravo artigiano rimane un punto di riferimento se l’utente ha un bagaglio tecnico di un certo livello e ha maturato particolari conoscenze inerenti ai processi produttivi. L’artigiano in questo caso è in grado di produrre un telaio dotato di un grado di personalizzazione elevatissimo. La maggior parte dei ciclisti però vive la bicicletta come una passione. Non tutti possono essere così ferrati in ambito tecnico. L’azienda offre di conseguenza un prodotto che è considerarsi “mediato” per due motivi: destinato all’utente medio per una specifica destinazione d’uso e frutto di un processo di rielaborazione dei feedback assegnati dal mercato».
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