Il ciclismo cambia spesso, per non cambiare mai
La rivoluzione industriale ci ha portato due oggetti che hanno cambiato per sempre il mondo e nella sostanza sono ancora oggi facilmente individuabili come allora. L’auto e la bicicletta. Della prima non parlerò anche se è comoda e ti porta facilmente dove vuoi, compreso alle gare di bici. La seconda invece è un oggetto davvero […]
La rivoluzione industriale ci ha portato due oggetti che hanno cambiato per sempre il mondo e nella sostanza sono ancora oggi facilmente individuabili come allora. L’auto e la bicicletta. Della prima non parlerò anche se è comoda e ti porta facilmente dove vuoi, compreso alle gare di bici. La seconda invece è un oggetto davvero senza tempo. L’auto così rumorosa e via via più complessa al suo interno, la bici che invece di sé non nasconde nulla ed è caratterizzata dal silenzio o al più da un fruscìo che sa di meccanica di precisione: quella meccanica che proprio in Italia a partire dagli anni ’30 in poi l’ha resa grande e non solo più un utile strumento per spostarsi (dopo un secolo si rivela ancora vincente in città) ma l’ha tramutata anche in un nobile strumento sportivo.
Dopo anni di evoluzione a piccoli passi verso il finire degli anni ’80 con l’avvento di nuove tecniche di lavorazione dei metalli prima e del carbonio poi è letteralmente esplosa la fantasia dei costruttori e noi appassionati con loro alla ricerca della bici perfetta, della bici che non c’è ancora. Via libera a vere e proprie innovazioni epocali come gli insostituibili pedali a sgancio rapido o i sistemi integrati di cambio e freno in un’unica manopola per avere mezzi sempre più ergonomici, comodi, sicuri e performanti. In parallelo però a questa inevitabile ed entusiasmante evoluzione che anche chi ha intuito che questo non bastava ma si doveva provare a tornare ad alcuni aspetti essenziali delle “macchine a pedali” senza dimenticare l’ausilio che l’industria moderna poteva dare. Ed allora ecco arrivare qui da noi sia l’ondata di bici a scatto fisso, talmente semplici e tirate che basta svitare un bullone per far sì che si fermino, e poi il coloratissimo mondo del fuoristrada ad una sola velocità nelle declinazioni sia del ciclocross che della mtb singlespeed. Pare strano, pare folle per certi versi ma alla fine si riescono a trovare un sacco di cose anche in quelle bici, apparentemente senza niente.
Perché si tratta sempre e comunque di sport. E lo sport è tale anche per la sua disciplina ed il suo sano aspetto competitivo, contro gli altri e contro se stessi, in un dedalo infinito di attività e discipline che non basta a mio parere quasi una vita intera per esplorare anche solo tutte quelle legate al ciclismo, ma provarci per lo meno è un dovere morale per chiunque si dica appassionato di bici.
C’è però un gesto che ancora oggi, nell’era del carbonio e dei cambi elettronici, è rimasto esattamente uguale a ciò che compirono i partecipanti al primo giro d’Italia. Prendere tra le mani il proprio numero di gara (o dossard in un francese che suona benissimo) e appuntarlo sulla propria maglia con quattro spille da balia a fissare quello che saremo per quel giorno, dei corridori. Lì si gioca una grossa fetta della motivazione, durante quel gesto così antico eppure così attuale che spero di non veder mai cambiato. A volte lo si fa la sera prima nel silenzio della propria camera d’albergo, o da soli qualche ora prima della partenza, ma è anche bello farsi aiutare da un proprio amico/compagno di squadra per poi fare altrettanto con lui e sentirsi uniti e parte di un qualcosa di più grande che è il ciclismo stesso. Se non lo avete mai fatto, almeno una volta gareggiate, vi piacerà.
perchè un #blog non bastava, nuova avventura per @endusoport – mySDAM #ciclismi | riky76omnium - 2015-05-12 15:20:46