Omar Di felice e il suo Antartide in bicicletta
Ebbene sì, Omar Di Felice ha coronato il sogno di quando era bambino ed è finalmente riuscito a esplorare l’Antartide in bicicletta, almeno fin quando e dove le condizioni climatiche gli hanno permesso di farlo, vale a dire dal 20 novembre ’23 al 7 gennaio ’24, per un totale di 48 giorni. Un’avventura, questa, che in realtà aveva avuto inizio lo scorso anno (avevamo intervistato Di Felice poco prima di partire) ma che, per motivi familiari, aveva dovuto abbandonare. O, meglio, rimandare di un anno.
Antarctica Unlimited (il nome del progetto è rimasto lo stesso), con i suoi 716,5 km percorsi in 48 giorni, risulta la seconda più lunga traversata in solitaria in Antartide in sella a una bicicletta, ed ENDU ha affiancato Omar fornendo la rilevazione GPS con il sistema ENDU LIVE.
Abbiamo raggiunto Omar al telefono e ci siamo fatti raccontare il suo viaggio, il suo Antartide. Il taglio che abbiamo voluto dare a questa intervista è più laterale rispetto alla classica cronaca dei fatti: abbiamo chiesto a Omar di scandagliare assieme a noi l’aspetto mentale di questa avventura. Quello che segue è il suo racconto.
Omar, prima di tutto: come stai? Sia fisicamente che mentalmente.
Fisicamente sto benissimo. Ho pure ripreso ad allenarmi e ad andare in bici. Mentalmente, invece, è tosta, soprattutto tornare alla vita normale. Guarda, io ho fatto tantissime avventure, ho viaggiato molto, però trascorrere 50 giorni senza mai vedere nessuno, a parte il bianco della neve e del cielo, non mi era mai capitato. Adesso è difficilissimo abituarmi ai ritmi, agli orari, agli impegni, alla frenesia: mi sembra davvero che tutti corrano.
Partiamo dall’inizio: cos’ha voluto dire, mentalmente parlando, prepararsi di nuovo all’Antartide dopo l’anno scorso? E quali sono state le differenze?
La parte più complessa è proprio quella della preparazione: la logistica, lo studio delle mappe, l’allenamento, pesare ogni singola cosa, pensare alle calorie che serviranno… È un lavoro enorme, che occupa mesi, anzi anni. Forse è proprio questa parte a togliere tante energie, perché quando arrivi in Antartide, sei concentrato sull’avventura in sé. Il dado è tratto.
L’anno scorso ho avuto un problema a casa: una persona della mia famiglia è stata male in modo preoccupante. O, meglio, stava già male prima che io partissi, ma ho provato a partire lo stesso per rispetto nei confronti degli sponsor e di tutto il lavoro che avevamo già fatto. Una volta là, mi sono reso conto che non ero nelle condizioni giuste per affrontare l’avventura, perché la mia testa era altrove, a casa, da dove mi arrivavano informazioni frammentate che non mi facevano stare lucido. Così, a malincuore, ho deciso di abbandonare e mettere da parte il mio grande obiettivo sportivo. Quest’anno invece ero molto più tranquillo, grazie a un profondo lavoro fatto su me stesso. Ho capito tante cose su di me, analizzando le motivazioni legate all’amore per l’avventura e del perché mi piaccia infilarmi in queste esperienze estreme… insomma, la consapevolezza raggiunta mi ha permesso di poter partire di nuovo ed esplorare finalmente questo meraviglioso deserto di neve in bicicletta.
Facciamo dunque un passo avanti e concentriamoci sul ‘durante’. Che pensieri hai avuto? Parlavi con te stesso, magari per sentire anche solo la voce di qualcuno? Hai avuto allucinazioni? E che cosa vuol dire trascorrere così tanto tempo da soli?
Allucinazioni no. Incubi e sogni strani, però, sì. Sai, lì fai fatica a dormire comodamente, anche perché dentro la tenda c’è la stessa temperatura dell’esterno, quindi -20°C (semplicemente in tenda non c’è vento). Quindi si dorme male, ci si sveglia in continuazione. Be’, ho avuto una serie di incubi legati ai problemi vissuti l’anno prima e confesso che mi svegliavo emotivamente scosso. Per fortuna, prima di partire, avevo promesso a me stesso che quest’anno avrei usato ogni singolo giorno, ora e minuto per vivere l’Antartide. Pian piano ho cominciato a entrare in sintonia con questo luogo e giorno dopo giorno gli incubi sono spariti ed è rimasta solamente la parte bella.
È stato un percorso molto introspettivo, perché ho riflettuto molto, ho parlato con me stesso, a volte mi ritrovavo a ridere, o ad arrabbiarmi. Non ho mai avuto paura a stare da solo, ma ho riflettuto molto sul concetto di ‘solitudine’, sul fatto che noi non siamo più abituati a stare da soli. Invece, se ogni tanto riuscissimo a capirne il valore, riusciremmo ad analizzarci anche nella vita quotidiana, ad avere un atteggiamento critico rispetto a quello che facciamo, ai nostri errori, a quello che possiamo migliorare. Credo che alla fine sia questo lo scopo di esperienze come la mia.
Andando sul pratico: per 50 giorni sei stato immerso nel whiteout. Avevi la percezione dello scorrere del tempo o hai dovuto importi una tabella di marcia? Com’era la tua giornata tipo?
Ho dovuto entrare nel meccanismo del ‘giorno perenne’, quindi all’inizio puntavo delle sveglie. Ma dopo un paio di settimane mi veniva tutto in automatico: sveglia alle 6/6.15, preparazione del caffè, lettura di due capitoli di qualche libro caricato sul kindle, colazione, vestizione con la musica in sottofondo. Poi smontavo tutto, caricavo sulla slitta e partivo. Pedalavo 6, 8, 10 ore, a seconda delle condizioni meteo e alla stanchezza accumulata. Sai, una spedizione con la bici è sottoposta a mille variabili del terreno, a differenza di una con gli sci. Con gli sci puoi andare dappertutto, con la bicicletta no, e quando devi spingerla o trascinarla è devastante. Ci sono stati giorni in cui ho percorso solo 700 metri all’ora!
Alla fine della pedalata quotidiana, spacchettavo tutto di nuovo, montavo la tenda, cucinavo il mio pasto liofilizzato (in Antartide bisogna calcolare un piano nutrizionale di 3000/4000 calorie al giorno). Infine inviavo al mio team di comunicazione la foto del giorno da pubblicare sui miei canali social insieme ai pensieri che componevano il mio diario di viaggio.
A proposito di pasti: qual è stato il primo cibo ‘vero’ che hai mangiato appena sei rientrato?
Una pizza e il gelato.
E qual è l’esperienza più importante e preziosa che ti sei portato a casa dall’Antartide e che vuoi trasmettere alle persone?
Il valore del tempo e il concetto di limite. Noi siamo figli di un’epoca storica e sociale in cui ci hanno ripetuto di continuo che l’essere umano non ha limiti, che ‘se vuoi, puoi‘ e siamo passati dallo spronarci al pretendere di fare anche l’impossibile, senza considerare che ci sono dei limiti, sia nostri come essere umani, che quelli imposti dalla natura. Quindi non sempre possiamo raggiungere gli obiettivi prefissati. Faccio un esempio che vale per me stesso: io avrei voluto arrivare al Polo Sud e non ci sono arrivato, ma sono felice lo stesso, perché so che ho dato il massimo in relazione al contesto in cui ero. Durante la mia avventura, ho vissuto proprio questo processo evolutivo: all’inizio, arrivare al Polo Sud era un’ossessione; man mano che procedevo, però, ho capito che dovevo vivere ogni giornata, senza pensare all’obiettivo geografico. Contava l’esperienza in sé.
Se un giovane ti chiedesse come fare a trovare i propri limiti, cosa risponderesti?
Risponderei che per esplorare i limiti bisogna cominciare a fare le cose che immaginiamo, e non solo quelle che riusciamo a vedere concretamente. Tutti noi abbiamo dei sogni, ma a volte è difficile visualizzarli concretamente, così capita che li abbandoniamo. Invece non dovremmo mai perdere di vista i nostri sogni!
Io, da piccolo, sognavo l’Antartide, ma non avevo neanche idea di cosa fosse: lo vedevo sui libri, nei documentari, ma non me lo immaginavo concretamente. Ma ho persistito, e alla fine sono riuscito a vivere il mio Antartide, a esplorarlo, perché in realtà ho sempre mantenuto vivo, dentro di me, quel bambino che sognava l’Antartide.
Ai ragazzi dico sempre che non devono permettere a nessuno di mettere da parte i loro sogni, ma devono provare a realizzarli. E questo ‘provare’ dà consapevolezza, regala esperienze. E non sarà più importante raggiungere il Polo Sud, ma averci provato. Questo è il modo migliore per conoscere sé stessi e i propri limiti.
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