L’approccio alla montagna
Spesso mi ritrovo a pensare alla montagna. A volte per pianificare delle uscite sportive, a volte per ipotizzare nuove vacanze ma spesso, molto spesso, mi trovo a pensare proprio alla montagna in sé e ritrovare il puro piacere in queste immagini mentali. La montagna, a parere di molti, possiede un che di mistico da qualunque […]
Spesso mi ritrovo a pensare alla montagna. A volte per pianificare delle uscite sportive, a volte per ipotizzare nuove vacanze ma spesso, molto spesso, mi trovo a pensare proprio alla montagna in sé e ritrovare il puro piacere in queste immagini mentali.
La montagna, a parere di molti, possiede un che di mistico da qualunque punto di vista la si osservi: si eleva dalla pianura, immutabile eppure sempre diversa. Riesce a trasmettere tantissimo a chi la vuole conoscere e sa restare impassibile a chi la definisce come un “inerme mucchio di sassi”.
Proprio per quel tocco di magico che la contraddistingue, io non riesco ad associarle il frastuono che, invece, inquina i nostri paesi e città. La montagna non può (vorrei scrivere non deve, ma non vorrei esser così assolutista) essere percorsa con un mezzo a motore, vanificandone la possibilità di comprenderla, o il percepirne solo la superficie di quello che può dare a chi si pone al suo cospetto. E se silenzioso deve essere l’accostarsi, non può che essere il nostro corpo il motore che ci permette di proiettarci dentro questa esperienza.
Siamo quindi liberi di scegliere almeno tre grandi vie per vivere la montagna. La più antica tra tutte è chiaramente la camminata (e la corsa). La prima a me riporta sempre alla memoria i primi pellegrini o i viandanti del Medioevo, il cui viaggio, oggi ritenuto ridicolo per valicare, per esempio, l’arco alpino, diventava l’avventura della vita. Si veniva a contatto non solo con la natura circostante, ma con i popoli dei villaggi montani, così chiusi ma, in fondo, così ospitali per chi con rispetto calpestava il suolo delle loro terre. Riportando tutto ai giorni nostri, ritengo che poche cose siano così distensive come il camminare in montagna. Non c’è yoga che tenga, la montagna sa trasmettere delle vibrazioni in perfetta sintonia con il nostro essere, a patto di volersi sintonizzare sulla sua lunghezza d’onda. Il risvolto più moderno e atletico è chiaramente la corsa. Premetto che non sono un grande conoscitore della corsa e talvolta rimango anche un po’ diffidente per via del delicato equilibrio tra la sua traumaticità intrinseca e i suoi benefici psicofisici. Ma confrontandomi con alcuni miei amici, colgo dai loro discorsi che la corsa in montagna è strepitosa e dà sensazioni uniche rispetto al podismo classico. Per contro, tale attività esige una preparazione fisica di livello superiore rispetto al runner medio, quindi resto molto incuriosito quando riesco a entrare in contatto con qualche nuovo atleta che si cimenta in questa disciplina.
Il secondo modo, che mi vede immerso fino al collo, è il dualismo tra la montagna e la bicicletta. Sono principalmente uno stradista, ma di fatto anche con le ruote che poggiano su del confortevole asfalto, il pedalare in montagna è altra cosa rispetto all’allenarsi e al gareggiare. Nei miei frequenti giri alpini, quasi sempre in solitaria, trovo che il costante mulinare delle gambe in un infinito e cadenzato rito sia una delle vie per ritrovarsi a fare i conti con pensieri molto profondi e spesso con il conoscere, o ritrovare, parti recondite di noi stessi in grado ancora di sorprenderci. La salita, quindi, non è solo la via per allenare il corpo a un certo tipo di esercizio e di resistenza, ma spesso durante il dipanarsi di essa, riesce a farci isolare dal frastuono delle auto a fianco, a estraniarci da quella miriade di considerazioni in merito al ritmo cardiaco, velocità, ascesa, quota raggiunta e da raggiungere per arrivare in cima. La comunicazione con la natura si pone su di un altro piano, più profondo e personale, dove ognuno di noi può gioire per il fatto di essere lì a fare una cosa che ama. Il ritmo è deciso più dal nostro corpo che da considerazioni sull’adeguato rapporto da utilizzare per salire più in fretta, la concentrazione si fa respiro e, viceversa, portandoci quasi in una nuova dimensione. Provateci la prossima estate quando la neve libererà quelle lingue grigie adagiate sulle selle alpine. Dal mio punto di vista, tutto quello che considero allenamento in bici è sostanzialmente funzionale proprio a potermi permettere di dimenticare distanza e dislivelli da superare durante escursioni del genere e lasciare così libero sfogo solo al puro piacere di pedalare. C’è poi anche la splendida ricompensa a tanta fatica fisico/mentale ed è la discesa! Non è questo lo spazio (non oggi almeno) per dare consigli su come affrontare in sicurezza una discesa lunga e tecnica in sella a una bici da corsa. Ma come negare che, per ciascuno di noi, lo scendere in bicicletta sia sempre un po’ un ritornare bambini, con il vento che si modella attorno a viso e corpo e ci fa sentire così dinamici e vitali. Poi è fin troppo classica la metafora della discesa come premio alla salita superata, tanto citata quanto vera in molti aspetti della nostra vita quotidiana. Ci vediamo la prossima estate in quota?
L’ultimo modo, estremamente attuale vista la stagione invernale, è lo sci alpinismo. Anche qui non posso ritenermi un esperto, benché sia cresciuto a pane e sci fino agli otto anni d’età e sia attualmente ancora in contatto con molti amici amanti dello sci alpinismo. Colgo però molte analogie con le due discipline prima menzionate. C’è la tradizione della scalata con gli sci che ha fatto grandi pionieri ed esploratori alpini ed artici, c’è la cadenza del gesto, che ricalca in parte il mantra circolare della pedalata, c’è la sincronia di tutto il corpo che deve avere buona disciplina per non sprecare energie nell’avanzare e c’è, ancor di più, l’essere totalmente immersi nel maestoso silenzio della montagna. In questa condizione c’è anche la componente del mare bianco delle distese nevose che crea un contatto ancora più diretto tra natura e uomo. Si è così infinitamente soli eppure così parte integrante della montagna stessa da subirne inevitabilmente il fascino. Di fatto non ho mia sentito un amico sci-alpinista che si sia annoiato durante un’escursione o che mediti di fare altro la prossima stagione invernale, anzi, la scusa è sempre buona per osare qualcosa di più, sempre nel rispetto della montagna stessa. Come per il ciclismo, infine, anche la discesa con gli sci è una vera gratifica spirituale. In questo caso, non c’è il freddo sistema di risalita meccanico ad averci portato in cima, non c’è la possibilità di ripetere più volte la discesa semplicemente intervallandola con l’attesa da seduti su di una seggiovia. Qui la discesa diventa il coronamento dell’escursione, il premio per aver saputo sfidare la montagna durante la stagione meno ospitale e aver saputo compiere comunque la piccola impresa, il tutto condito dalla meravigliosa morbidezza della neve fresca che fa letteralmente immergere in essa gli sciatori-alpinisti regalando loro sensazioni uniche.
Accostatevi sempre con rispetto alla montagna, ma cercate di (ri)trovare la sintonia con essa. Una volta capito l’approccio, non vi deluderà mai.
Nadia Terazzi - 2018-11-17 10:38:31