Adriano Malori 2.0. Un futuro tutto da scrivere
Non è certo dipeso da Adriano Malori, che dopo la caduta al Tour de San Luis e il coma, ha saputo tornare in sella alla sua bici con una rapidità di recupero che ha fatto quasi gridare al miracolo. Solo che, a distanza di pochi mesi, ci si è messa una seconda caduta, e la rottura della clavicola, a complicare le cose.
Nel 2017, durante il Tour de France, Adriano Malori ha annunciato il suo ritiro. Una decisione che non sa di resa né di sconfitta, quanto piuttosto di consapevolezza e di coraggio: il coraggio di fare la scelta giusta, abbandonando l’attività agonistica per ricominciare altrove, una nuova vita.
Ne ha parlato nei giorni scorsi durante un incontro pubblico a Parma, nella sua Parma, anche se lui, più che parmigiano è parmense, nato e cresciuto in provincia, a Traversetolo, sulle colline che anticipano la patria del Prosciutto di Parma, dove c’è l’aria buona e si respira voglia di fare bene.
È lì che ha iniziato a pedalare, quasi per scherzo, a sette anni; chiamato dall’ortolano del paese, Claudio Vitali, per raggiungere il numero minimo di bambini – tre – necessario ad aprire una piccola squadra di ciclismo.
Ospite del Circolo Minerva, Adriano Malori ha raccontato il suo presente, i nuovi progetti. E sì, parlare del passato a volte è inevitabile ma a chi gli ha chiesto di raccontare la sua storia, come è nata la sua passione per la bici, e le gare che ha fatto e i titoli italiani e mondiali che ha vinto, ha risposto tagliando corto: “Quello che ho fatto lo trovate anche su Wikipedia. Non amo molto parlare di quello che ero, perché non lo sono più, oggi faccio altre cose. Non voglio tagliare i ponti con il mio passato ma, semplicemente, preferisco parlare del futuro”.
E il suo futuro ha i nomi, i volti e la fatica di alcuni ciclisti amatori – una ventina – che lo hanno scelto come preparatore.
“In fondo io ho imparato dai migliori preparatori al mondo, quelli della Movistar, a cui ancora chiedo consiglio quando ho qualche dubbio. Mi piaceva l’idea di poter mettere la mia esperienza e la mia passione a servizio di altri atleti”.
“La lamentela più frequente di chi arriva da me dopo essersi allenato con altri tecnici è legata al carico di lavoro. Gli amatori devono fare i conti con la quotidianità, che può voler dire gli straordinari in ufficio, il bambino con la febbre, una giornata no. Credo che un allenamento per essere davvero utile ed efficace non possa non tenerne conto. Così ho fatto della flessibilità la caratteristica principale delle mie tabelle. Cerco di adattare di volta in volta le uscite. E’ l’allenamento che si adegua alla persona, non viceversa”.
“Oltre a questo, non lavoro per soglia, ma per zona. La soglia è un valore troppo variabile perché possa essere considerato come punto di riferimento”.
“Il lavoro dipende dall’età dell’atleta, dal lavoro che fa, dal tempo che ha a disposizione e anche dalle gare che intende fare. Non posso pensare di avere un modello uguale per tutti e sempre uguale a se stesso. Di solito, ogni due settimane mi confronto con l’atleta per capire se ha incontrato difficoltà, di che tipo e se ci sono aggiustamenti da fare”.
E tu come e quanto ti allenavi?
“Di solito alternavo due giorni di carico, con uscite da 4-5 ore, a uno di scarico, in cui mi allenavo per 1-2 ore. Qualcuno mi chiedeva spesso: ma come fai ad allenarti 5 ore? È durissima. Secondo me è sempre più dura alzarsi alle 5 per andare in fabbrica. Poi certo, quello era il mio lavoro e faceva parte del gioco, ma lo sport per me è sempre stato anche una grande valvola di sfogo, che mi permette di eliminare lo stress e i pensieri”.
“L’allenamento di un amatore in realtà non si discosta poi così tanto da quello di un Pro. Cambia l’intensità, a volte la durata, ma i principi di base sono gli stessi”.
“Anche il recupero è fondamentale per tutti. A fine stagione potevo passare anche un mese senza pedalare. Il riposo è utile tanto quanto l’allenamento. E comunque, in generale, meglio fare uscite brevi ma frequenti che macinare chilometri su chilometri una volta alla settimana”.
E i triatleti?
“Alleno anche loro. Luca e Paola. Certo, per me è un mondo nuovo e gareggiare in una gran fondo non è come pedalare dopo aver nuotato e prima di correre una 5 km. Però parte della mia esperienza mi è tornata utile e per il resto, per tutto quello che non so, sto studiando!”
Chi, oggi, ha bisogno di un allenatore?
“Praticamente tutti. Chi vuole pedalare con buonsenso, non affidandosi al caso. Non è necessario essere un campione, anzi. Proprio perché il tempo per tutti è poco, è meglio sfruttarlo nel migliore dei modi. Una preparazione mirata permette di migliorare, di lavorare per l’obiettivo di una gara o anche, semplicemente, per ottimizzare le uscite. In fondo lo sport, nonostante la fatica, deve solo farci stare bene”.
Adriano Malori lo trovate su Facebook, con il suo nuovo progetto da preparatore atletico che si chiama “58×11 by Adriano Malori”.
Il passato è alle spalle. Il futuro è tutto da scrivere.
Buena suerte, Adriano.
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