Correre la maratona come gli antichi greci
Siamo quasi a fine inverno e si avvicina il periodo delle maratone primaverili, come la Padova Marathon (23 aprile 2023). Che voi siate esordienti oppure no, potrebbe essere interessante leggere il libro di chi ha fatto per la prima volta questa esperienza, decidendo di raccontarla in una chiave insolita. Da studiosa di lingue antiche.
Andrea Marcolongo è diventata famosa con l’uscita de La lingua geniale – 9 buone ragioni per amare il greco, un libro che riesce a rendere affascinante e accessibile il greco antico. Dopo questo fortunato esordio letterario, Marcolongo ha pubblicato altri titoli, aventi tutti la stessa matrice: il legame con il passato. Come a ribadire che lo studio dell’antichità non solo è ancora molto attuale (e il team pro Liceo Classico ne sarà felice!) ma è utile per capire meglio il nostro presente.
De Arte Gymnastica, da Maratona ad Atene con le ali ai piedi, la sua ultima fatica letteraria, è diventata anche una vera e propria fatica fisica perché è un libro sulla corsa o, meglio, della relazione amorosa dell’autrice con la corsa. Anzi, per essere più precisi, con la maratona.
Ancora una volta Marcolongo tesse un legame con l’antichità e scandaglia quelle che sono le origini storiche della maratona, la gara regina delle Olimpiadi, e nel farlo sceglie il più ardito degli approcci empirici ovvero uscire dalla propria zona di comfort di studiosa per vestire i panni della maratoneta, provando sulla propria pelle cosa significa oggi – e cosa significava allora, ai tempi di Filippide, il primo maratoneta – correre alla maniera dei greci.
De arte gymnastica è un libro che, con l’aiuto dei classici, ci racconta perché corriamo o, se ancora non lo stiamo facendo, perché dovremmo correre.
Ho incontrato Andrea Marcolongo a Parigi, la città in cui abita, e abbiamo fatto una lunga chiacchierata sedute a un bistrot affacciato sulla Senna…
Andrea, come scrivi nel tuo libro, sei passata da una vita ‘da studiosa sedentaria’ dedita ad aperitivi a maratoneta. Com’è nata questa tua conversione?
Fino a circa tre anni fa, per me non c’era nulla di più lontano dello sport: il corpo è sempre stato secondario, anche perché non ho mai ricevuto un’educazione sportiva. C’è anche da dire che tra gli intellettuali non ci si vanta certo dei chilometri fatti di corsa, semmai delle ultime letture fatte. Poi tre anni fa, senza una motivazione particolare, tipo la ricerca della forma fisica o di un’estetica particolare, mi sono infatuata della corsa. È iniziato tutto timidamente, in solitaria, ma presto ho scoperto che quando correvo tutto il mio ‘essere’, sia fisico che spirituale, era coinvolto. È stato allora che ho voluto andare all’origine, scomodando proprio i miei amati classici.
Sei dunque quella che si potrebbe definire un’agonista tardiva.
Assolutamente. In realtà, con questo libro, volevo sfatare la leggenda metropolitana per cui lo sport fosse incompatibile con l’attività intellettuale. I greci, infatti, dicevano proprio il contrario: Platone affermava che i ragazzi dovevano andare sia a scuola per studiare la letteratura sia in palestra per fare sport. Io però questa parte dello sport non l’avevo ancora capita.
Ma non ti sei limitata a correre per 5/10 km: ti sei cimentata addirittura in una maratona. E non una qualunque, ma la più emblematica per una studiosa dei classici, ovvero quella di Atene.
Ebbene sì, mi sono detta: ‘se voglio scrivere un libro sulla corsa, allora tanto vale preparare la mia prima maratona’. Ho scelto dunque la maratona originale, quella di Atene, che parte proprio dal villaggio di Maratona, teatro della battaglia del 490 a.C tra greci e persiani, quando il primo corridore della storia, Filippide, percorse la distanza di quasi 42 km fino ad Atene per consegnare il messaggio della vittoria ateniese (morendo subito dopo, stremato dalla fatica). Diciamo che come episodio non mi faceva ben sperare: se lui era morto di fatica, io sarei finita peggio (ride, ndr). In realtà poi è andato tutto benissimo.
La corsa ti aiuta nel tuo mestiere di scrittrice?
Assolutamente sì. Se prima scrivevo dietro a una scrivania, ora scrivo correndo, nella mia testa. Da quando corro, i pensieri si fanno molto più chiari e quando metto tutto per iscritto, mi sembra di essere molto più incisiva, molto più presente. C’è da dire che scrivere, in generale, è un po’ come una maratona: è una questione di allenamento, fatica, ritmo, perseveranza. Quindi è già di per sé una prova di resistenza.
Parliamo ora della tua esperienza: De arte gymnastica è stato scritto mentre ti stavi allenando per la maratona, infatti è presente anche il tuo diario di avvicinamento. Com’è andata, poi, il giorno fatidico? Cos’hai pensato mentre correvi?
Allora, lo dico subito: Atene non è la maratona più bella in assoluto. Maratona è ormai una cittadina nella periferia e non c’è molto da vedere. A colazione ho mangiato datteri e sono uscita dall’albergo con questa alba rosata, la stessa che cita Omero ‘l’aurora dalle dita rosa’. Confesso che ho avuto un momento di incertezza, del tipo ‘ma chi me l’ha fatto fare?!’, con una sensazione tra lo scemo, l’inutile e il superfluo. Alla fine mi sono rassegnata all’idea di correre e via, sono andata alla partenza. Non mi sono data un ritmo, ho corso e basta, un po’ alla Forrest Gump. I primi 15 km sono stati meravigliosi, perché immersi nel verde con orti e ulivi: mi sentivo come un’eroina greca in un paesaggio bucolico. Poi, com’era prevedibile, è arrivato il classico crollo al trentesimo chilometro: mi veniva da piangere, ma non ho mai pensato a ritirarmi perché ho imparato che anche quando la mia testa mi dice ‘non ce la faccio più’, il mio corpo se ne frega e non smette di correre. Sembra quasi che il mio corpo sia molto più abituato all’idea di correre della mia testa.
Alla fine sono arrivata allo stadio Panatenaico e ho provato sì una grande emozione, ma anche una sorta di riluttanza a dovermi fermare, perché correre dentro il mio spazio mentale privato era stato in un certo senso rilassante.
Nel tuo libro ho trovato un approccio alla corsa molto maturo. Mi spiego: tu stessa dichiari di essere passata dalla fase ‘mi vesto esattamente come il popolo dei runner e indosso l’ultima scarpa superprestativa’ a ‘non me ne frega niente ed esco a correre con quello che ho, pure senza gps’. Insomma, in pochi anni hai condensato un bel po’ di fasi tipiche che colpiscono i runner. Hai mai avuto dei dubbi su come sarebbe stato accolto il tuo libro?
Ovviamente sì, me lo sono domandato. Nello stesso tempo penso che non si scrivono libri per far piacere al lettore: questo è il libro che avrei voluto leggere quando ho iniziato a correre. In libreria si trovano un sacco di libri, ma quasi tutti sono scritti da uomini, che siano grandi agonisti o grandi scrittori, penso a Murakami. Quindi mi sono detta che mancava un pezzo, quello della principiante donna che non ambisce né al premio Nobel né al record mondiale. Il mio è quindi un approccio diverso al ‘perché si corre’.
E ora a che punto sei con la corsa?
Quando sono arrivata al traguardo pensavo che non avrei più corso. In realtà dopo sole 3 settimane ho rinfilato le scarpe e sono uscita a correre: ho trovato una dimensione magnifica, slegata dal progetto maratona e dal progetto libro, dal dover fare. Ho ritrovato, insomma, il piacere degli inizi. E ora riesco pure a correre con gli altri, mentre prima era un’attività molto personale e intima. Insomma, continuo e continuerò a correre e sono felice.
Andrea Marcolongo
De Arte Gymnastica, da Maratona ad Atene con le ali ai piedi
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