Quanto pretendere da noi stessi?
Fin da piccolo ho sempre preteso tanto da me stesso. Non so se è questione di carattere o questione di educazione. In testa spessa mi rimbalza la domanda “Che voto hanno preso gli altri” che mi veniva posta quando prendevo un voto a scuola.
La competitività è un giano bifronte: se da una parte ti permette di elevarti e avere la passione per farlo, dall’altra ti incatena a dover sempre dimostrare o dimostrarti qualcosa.
In questa foto (Instagram) avevo appena finito un allenamento 20×200 ed ero piuttosto deluso. Nella pianificazione degli allenamenti avevo un obiettivo da tenere, un tot di secondi per i miei 200 metri. Già dalle prime ripetute ho sentito subito che non ce n’era: non era questione di limare il tempo, era questione che 5 secondi non li avrei tolti per nessuna ragione al mondo.
Il minutoequindici di recupero passava troppo veloce e cresceva la consapevolezza che alla ventesima in quel modo non ci sarei mai arrivato. Così, a suon di martellate morali, c’ho mollato un pochettino. Rassegnazione? No ho cercato di portare a casa l’allenamento, dando quello che avevo da dare. Ma ero triste… non ce l’avevo fatta.
Avrei potuto tirare di più? Mah probabilmente no. Ma convincermi di ciò, convincermi che in quel momento (afa, caldo, poco sonno, stanchezza, …) potesse soddisfarmi è dura, molto dura.
Alla fine l’epilogo è allegro e divertente: in pianificazione dell’allenamento avevo sbagliato a leggere i dati dell’omologo workout del mese scorso (sto seguendo un “ciclo”) e avevo un obiettivo almeno di 6 secondi più veloce del dovuto, che su 200 metri è tanta roba.
Riguardando i dati in Garmin Connect mi sono invece accorto che avevo tolto un secondino dalla media di tutte le venti ripetute: è stato un’improvviso sorriso, uno squarcio di luce, in una giornata che era iniziata storta.
Ovvio che stiamo parlando di piccolezze, davanti ai veri problemi che si devono affrontare nella vita e che rispetto a problemi familiari, di salute o di lavoro è nulla, soprattutto per noi amatori che non viviamo di corsa. Però mi faceva piacere condivirtelo.
Ti invito a leggere questo post di John Amodeo di cui ho estratto un piccolo passaggio:
An attachment to being perfect reflects a lack of self-compassion and wisdom. The failure to embrace our humanity with its joys, sorrows, and imperfections leads to a rigid sense of self that shatters easily when we miss our goals. Emotional health requires gentleness toward ourselves as we embrace inevitable failures. We can find satisfaction in doing our best, but this doesn’t mean that we need to be perfect.
Cosa vorrei passasse di tutto ciò:
- Giusto pretendere tanto da se stessi, ma non farlo diventare un tarlo
- Soffrire per le piccole sconfitte, ma trovare immediatamente un sorriso a cui aggrapparsi
- Ci vediamo alla Garda Trentino al suon di “Corro alla ricerca dei miei limiti per provare a superarli”?
Alla prossima.
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