Romanazzi, la mental coach dei campioni
Olimpiadi di Tokyo 2021. Marcel Jacobs, atletica; Luigi Busà e Viviana Bottaro, karate; Alice Betto, triathlon.
Questi sono gli atleti che per le Olimpiadi di Tokyo 2021 si sono affidati a Nicoletta Romanazzi, professione mental coach. I risultati sono stati sotto gli occhi di tutte e tutti.
Qual è la sua super capacità? Come riesce a tirare fuori il meglio da ciascun atleta?
In realtà Romanazzi definisce il suo un… non-metodo, e lo racconta nel suo libro Entra in gioco con la testa. Da tenere presente che questo metodo vale anche per la persone comuni, che non devono competere per una medaglia olimpica.
L’inizio di tutto: il desiderio
Desiderio: da ‘de sidera’, senza stelle. L’essere umano desidera ciò a cui sente di non poter arrivare e cerca di ottenerlo per sentirsi completo.
Per Romanazzi noi umani siamo legati al desiderio: tramite esso possiamo stabilire la rotta e raggiungere la destinazione (obiettivo). E per riconoscere la rotta, Romanazzi insegna ai suoi atleti e atlete a farsi le domande giuste, quelle scomode, quelle che puntano direttamente al centro di loro stessi. Una di queste domande è perché, ovvero ‘quali sono le motivazioni profonde del mio desiderio’?
Lavorare sul desiderio è importantissimo per scoprire cosa vogliamo davvero. Sono i desideri, infatti, a delineare i nostri obiettivi.
Il fine: l’individuazione di un obiettivo
Prima di tutto: non ci sono obiettivi giusti o sbagliati, ma obiettivi giusti per noi, che ci faranno provare appagamento una volta realizzati. Gli obiettivi devono essere: stimolanti, sfidanti, importanti per noi, misurabili, raggiungibili, realistici, con una scadenza, flessibili (adattarsi a noi che cambiamo oppure agli eventi che cambiano la realtà: vedi la posticipazione delle Olimpiadi di Tokyo a causa della pandemia), essere in linea con i nostri valori. Un obiettivo ben formato diventa esso stesso la nostra motivazione.
Adesso si penserà che Romanazzi, ai suoi atleti, indichi la vittoria in una gara come l’obiettivo più alto.
Niente di più sbagliato. Perché porsi come obiettivo la vittoria è rischioso e riduttivo, perché è qualcosa di cui non abbiamo pieno controllo e ci espone troppo a fattori che non dipendono da noi. L’idea giusta, invece, è realizzare la nostra migliore prestazione possibile, impegnarsi a dare il massimo.
Il mezzo: i nostri talenti e i nostri limiti
Quello che dobbiamo fare è amplificare e lavorare sui nostri talenti, quelli che possediamo già, non ciò che manca, e lavorare per rafforzarli. Come? Bisogna uscire dalla propria zona di comfort e pagare un po’ di disagio iniziale. Ne varrà la pena, perché ci approprieremo di un pezzetto prezioso di mondo esterno.
Ma l’essere umano possiede anche delle paure. Bisogna prenderle, guardarle da vicino, smontarle, comprendere quello che ci stanno dicendo. Lavorarci è il primo passo per abbattere il limite più grande che ci poniamo nella costruzione della nostra felicità. Bisogna accettare parti di noi senza giudicarci, perché tutte le nostre parti sono degne di nota. Ogni essere umano, infatti, ha tanti sé interiori, una moltitudine di parti. Ovviamente noi mostriamo all’esterno i nostri sé primari, ma per suonare una sinfonia ci vogliono tutte le voci: l’io cosciente deve trovare un equilibrio tra tutte le voci. Creare dialogo con i propri sé: tutte le nostre parti hanno un dono da offrirci.
Stare nel presente
Il qui e ora. La consapevolezza di sé, del nostro respiro, delle nostre sensazioni. Stare nel presente è una cura contro l’ansia (lo diceva anche Orazio), perché senza rivolgersi al passato o al futuro, si vive davvero il presente. Solo nel qui e ora possiamo creare quello che vogliamo, mettere le mani nella direzione che vogliamo prendere: solo nel qui e ora possiamo vivere appieno. Creare un flow, una trance ipnotica.
‘Gli atleti con cui lavoro restano scioccati quando consiglio di non fissarsi sul vincere o sul perdere perché la cosa che davvero conta è ottenere la migliore performance possibile, fare del proprio meglio, qui e ora. Solo così si può gestire con presenza e consapevolezza ogni situazione; solo così, se qualcosa dovesse andare storto, si avrebbe la prontezza di individuare il problema e di intervenire per risolverlo; solo così non si diventa schiavi di competizioni e classifiche’.
Bisogna ‘lasciare andare’ il passato per fare spazio al futuro. Lasciare andare è un atto liberatorio, così saremo senza zavorre, più leggeri.
‘Vittoria e sconfitta hanno tanti punti in comune ma il più critico è che entrambe ci fanno vivere nel passato, ci trasmettono la stessa paura declinata in due modi diversi: la paura di non riuscire a replicare lo stesso risultato positivo, la paura di ripetere lo stesso risultato negativo. Entrambe ci distraggono dal presente e questo è tanto più grave perché, come abbiamo visto, possiamo intervenire solo sul presente’
Questi concetti sono potentissimi non solo per lo sport, ma anche per la vita di tutti i giorni.
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