Un viaggio all’interno della Monterosa Skymarathon

Un viaggio all’interno della Monterosa Skymarathon

Nicolò Cantoni

Salire una montagna e tornare indietro, contando solo sulle proprie forze e sulle proprie capacità. Quale sfida potrebbe essere più avvincente? Per me nessuna.

22 Novembre 2021

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Chi ha provato quel senso di libertà che ti offre la montagna, difficilmente potrà mai dimenticarlo. Anzi, in molti casi, diventa quasi un’ossessione.  Una ricerca continua verso qualcosa che ti possa portare a provare ancora quelle emozioni. Così, quando mi arrivò la notizia che avrebbero riproposto la Alagna-Monterosa, fui subito rapito dall’idea di partecipare.

Questa gara, insieme alla Courmayeur-Monte Bianco e alla Cervinia-Breithorn, fu tra le prime e più importanti competizioni dello Skyrunning Mondiale. Qui si affrontarono atleti del calibro di Meraldi, Greco, Brunod, che fecero la storia di questo sport.

Da un punto di vista filosofico, come dice il suo ideatore Marino Giacometti, lo skyrunning è molto facile da spiegare: “run free to the top of the mountain” e questa competizione ne incarna perfettamente lo spirito. Salire una montagna e tornare indietro, contando solo sulle proprie forze e sulle proprie capacità. Quale sfida potrebbe essere più avvincente? Per me nessuna.

Ero pronto, almeno psicologicamente, ad affrontare questa nuova avventura. Mancava solo una cosa, penso la più importante: il compagno. Il grande cambiamento che ha subito questa competizione, che nei primi anni Novanta veniva disputata singolarmente, è la partecipazione a coppie. Questa novità ha giocato un ruolo fondamentale, non solo sulla sicurezza, sulla quale gli organizzatori hanno posto grande attenzione, ma anche sul risultato della gara perché condividi paure e momenti di crisi con il tuo compagno. Affrontare questo percorso con Michele ha reso quest’avventura ancora più unica e ancora più difficile.

 

 

Il percorso ricalca il tracciato originale compiuto per la prima volta nel 1993. Da Alagna Valsesia, 1192m, a Stazione Indren 3260m, passando dalla Bocchetta delle Pisse 2396m. Si prosegue verso il Rifugio Gniffetti 3647m e al Colle del Lys 4250m, fino alla Capanna Margherita 4554m, con ritorno per lo stesso itinerario.

 

Un totale di 35 km e 3500 metri di dislivello positivo. La gara si svolge su sentieri di montagna con tratti impegnativi in salita e discesa, tratti innevati, ghiacciai con crepacci, tratti esposti, ripidi pascoli e pietraie, in condizioni meteorologiche e ambientali severe, superando la quota di 4500m.

 

Il problema principale che abbiamo dovuto affrontare era l’altitudine: abitando a 200 metri e non avendo grandi possibilità di permanenza in quota, avevo paura che dopo Indren avremmo sofferto.

Altro aspetto da non sottovalutare era lo zaino. Fast, ma non tanto light. Tra materiale obbligatorio e abbigliamento, lo zaino arrivava a pesare circa 4/5 kg. Quindi, che fare? Come impostare l’allenamento? Il mio pensiero è stato quello di lavorare sul motore e quindi aumentare il Vo2 max cercando di ottenere il massimo risultato con sedute di allenamento brevi e di lavorare sui lunghi con piccoli sovraccarichi per abituare le articolazioni e la muscolatura.

Insieme al mio amico Gabriele, che ormai da anni mi segue nella preparazione, siamo usciti dai canoni convenzionali dell’allenamento e ci siamo addentrati in un “territorio” a noi sconosciuto.

Arrivò il giorno della gara. Dopo aver fatto colazione, iniziammo a controllare il materiale e l’abbigliamento. Avevo paura di dimenticare qualcosa e allo stesso tempo volevo limitare il peso.

In piazza, sotto l’arco di partenza, l’atmosfera era piena di tensione ma allo stesso tempo vedevo negli occhi degli altri atleti determinazione e voglia di mettersi alla prova. Tutti eravamo in attesa del via. Iniziò il countdown e dopo pochissimi secondi ci ritrovammo ad affrontare la salita. Cercammo di trovare il nostro ritmo. Il nostro obiettivo principale restava quello di finire la gara; quindi, ci eravamo ripromessi di non fare fuorigiri inutili.

Sapevamo benissimo che la differenza l’avrebbe fatta la parte alta della gara. Chiacchierammo con chi saliva accanto a noi. Quella dello skyrunning è una grande famiglia, dove ci si conosce tutti: dai campioni ai non professionisti, che rubano tempo alla famiglia e al lavoro per questa grande passione.

Il sentiero si allargò attorno ai 2000 metri di quota, appena prima della bocchetta delle Pisse.

Da qui iniziammo ad aumentare gradualmente il passo e a guadagnare posizioni. Arrivammo alle Pisse dove era posto il primo ristoro. Stavamo bene e tutto andava per il meglio. Dovevamo calzare i ramponi e da lì, imboccare il vallone che ci avrebbe portato verso Indren con una ripida salita che passa sotto l’omonima bastionata.

Iniziammo a calpestare la prima neve e a vedere le prime bastionate sotto Indren. Tanti puntini sul ripido pendio ci indicavano la strada che avremmo dovuto percorrere. Arrivammo ad Indren dove le guide alpine e Marino Giacometti avevano il compito di controllare tutte le cordate prima di affrontare il ghiacciaio. Presi la corda dallo zaino e ci legammo. Usciti dal punto di controllo controllai l’orologio, eravamo in anticipo sui cancelli, quindi continuammo a salire regolari.

Ormai eravamo al canale prima della Gniffetti. Questo era il tratto più ripido della gara. Un canale dallo sviluppo di 200/300 metri con una pendenza di circa 50°. Arrivammo alle corde fisse, ci agganciammo con la longe e iniziammo a salire.

Ormai eravamo a circa 3600 metri di quota, la giornata era fantastica ma l’aria era davvero fredda. Io iniziai ad avere problemi alle mani. Non avevo più sensibilità e iniziai a tremare. Finalmente uscimmo dal canale. Mi tolsi lo zaino e indossai tutto quello che avevo: giacca, gore, moffole, cuffia. Poi guardai Michele e gli dissi che dovevamo provare a forzare un po’ per provare a scaldarci. Aumentammo il passo fino al colle del Lys, dove avremmo trovato un altro ristoro dal quale avremmo potuto vedere il nostro obiettivo: Capanna Margherita. Arrivati al colle lo spettacolo fu unico. Il Cervino, i Lyskamm, la Dofour. Un panorama mozzafiato a 360 gradi.

Prendemmo due barrette al ristoro e iniziammo la discesa. Dopo il colle effettuammo un lungo traverso leggermente in discesa sotto la Parrot. Da qui iniziò l’ultima rampa che porta verso i 4554 metri della Capanna. Superammo qualche cordata che ci incitò e alla fine dopo 5 ore e 30 minuti eravamo a metà del nostro viaggio. Lo spettacolo era unico. Un vero nido d’aquile.

La parete est sotto la balconata, con i suoi 2000 metri è la più alta delle Alpi. Il cielo era limpido. Blu intenso. Ma purtroppo non ci fu il tempo per fermarsi.

La stanchezza iniziava a farsi sentire e la discesa ci preoccupava. Non sapevamo fino a che quota il rigelo, che fino a quel momento ci aveva permesso di non sprofondare, avrebbe resistito alle temperature diurne in rialzo.

Ci abbassammo velocemente fino alla Gniffetti. Dopodiché arrivammo al canale, con la neve che iniziava a mollare. La guida alpina, posta all’inizio, ci invitò a fare attenzione. Non avevamo molte alternative. Longe nelle corde fisse, culo per terra e giù. Per fortuna le corde avevano dei nodi che rallentavano la nostra corsa verso valle. Arrivammo a Indren, la discesa era ancora lunga. Avevo neve dappertutto e le gambe ormai erano ko. Sotto ad Indren c’era un pendio ripido, ma senza corde fisse. Quindi cercammo di scendere correndo e non scivolando perché avevamo paura di non riuscire più a fermarci. Un passo, due, tre, scivolai; iniziai a prendere velocità. Provai a puntare i piedi, i bastoncini ma niente da fare, non riuscivo a fermarmi. Michele mi urlò qualcosa che non riuscii a capire. Pensai di farmi male. Molto male. I sassi spuntavano dalla neve e io scendevo a tutta velocità. Arrivai alla fine del pendio e mi fermai. Ero stato davvero fortunato. Ormai eravamo in picchiata verso Alagna, lungo le piste da sci, e i bellissimi sentieri nel bosco sopra al paese. Giù, sempre più giù. Sapevamo di avercela fatta.

 

 

In quegli istanti pensai a tutta la preparazione e alla strada fatta fino a quel momento per realizzare il mio sogno. Erano stati mesi duri ma allo stesso tempo fantastici.

Iniziammo a sentire la voce di Silvano Gadin che accoglieva gli atleti sulla linea del traguardo. Sara era lì ad aspettarmi. Non vedevo l’ora di abbracciarla. Eravamo nuovamente ad Alagna. Dopo 8 ore e 20 minuti tagliammo il traguardo.

Ora possiamo dire di essere dei veri skyrunner.


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