Ansia da esibizionismo prestazionale

Ansia da esibizionismo prestazionale

Paul Emico

Troppo spesso usiamo i social per sbandierare tempi di allenamento e foto di gusto dubbio per auto incensarci nel nostra “road to” la qualsiasi, forse per motivarci, forse per ottenere tifosi. Ci alleniamo per la performance o per vantarci di farlo?

5 Agosto 2019

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Ho un figlio di 11 anni che ha terminato la prima media e giustamente richiede la mia attenzione per mostrarmi le sue abilità in divenire, quel che lui crede essere un talento e giustamente tendo a gratificarlo in quello per cui lo merita. Quando scrivo queste cose mi viene in mente una barzelletta di Pierino che torna a casa ogni giorno e comunica al padre una serie di voti raffazzonati, ed il padre sapendo la scarsa attitudine intellettiva lo sprona, ma comunica che ad educazione fisica in doccia era il più dotato il padre ricorda che in prima media a 18 anni è normale essere il leader…

Tutto ciò mi porta al centro della paul-emica quotidiana, ossia quanto sia necessario l’esibizionismo prestazionale nel nostro allenamento in un mondo in cui neanche i top atleti sono così convinti di essere fenomeni, sebbene essendo per lo meno il loro lavoro va da se che il Talento, quello con la T maiuscola, ci sia.

Avete mai visto ad esempio la Pellegrini vantarsi di un allenamento ben riuscito? No. Lei le sicurezze se le crea in vasca, non le cerca nei social.

Mi spiego meglio: in anni in cui l’endurance è diventata una moda splendida, che ci fa star bene, ci porta fuori di casa, ci richiede energie fisiche quanto mentali ed emozionali, ci condiziona ritmi, spese, vacanze e sempre più spesso relazioni affettive, siamo così vuoti da dover sbandierare sui social sempre solo screenshot di allenamenti, tempi, pettorali, foto di gare troppo spesso col watermark (paul emica a parte, se postiamo una foto vuol dire che vale la spesa di 4/5 euro, fosse brutta non screenshottiamo neanche, che dite?), siamo tutti influencers ambassador e top atleti?
Il nostro Ego vive davvero di questi like elargiti, sempre dagli stessi compagni di malattia? Oh sia chiaro, i tempi di allenamento e gara esistono, e possono/devono essere esposti tra noi malati-endorfine -dipendenti perché, come dice il saggio, “se non c’é su Strava non è mai esistito”, ma proprio per questo il mio rispetto per i non addetti richiederebbe la limitazione del cronometro agli appositi social dedicati: Garmin Connect, Strava, Runstasic, Polar Flow, Suunto Movescount. Poco cambia al profano se si sia corso a 4′ o a 6’30”, mentre tra noi cambia, eh se cambia, fermo restando che forse sarebbe da ammirare più chi impiega 6h per una maratona che chi ce ne mette 3 per la caparbietà.

Per ogni screenshot che postiamo di un allenamento ben riuscito ci saranno centinaia di amatori più forti a valutare basico il nostro ottimo, e una marea di non sportivi a skippare per disgusto e noia.

Se volessimo (vogliamo?) coinvolgere il mondo nelle nostre emozioni da endurance, spendiamo una parola, una frase, trasmettiamo o proviamo a trasmettere quella divina sensazione che è la “runner’s high”, il viaggio lisergico a cura di endorfine e stanchezza che dal “mai più” ci trasforma in “ancor di più”; io ci ho provato con gli inconsapevoli essendo stato un parziale precursore, e mi capita a distanza di anni di sentirmi ringraziare, “ avevi ragione…”, conoscenti da una vita che mi guardavano stupiti raccontare del distacco mente/corpo durante un lungo a piedi da 30/35 km, una forma di meditazione, una magia da prestigiatori in cui il corpo sebbene separato dalla testa continua a muoversi consapevole mentre il cervello continua a elevarsi in pensieri divini che neanche sotto NZT 48 (cit. Limitless) potrei ottenere, che di colpo han capito…

Dimostriamo ai social che siamo più che esibizionisti, noi siamo quelli che non vinceranno mai niente ma proprio per questo il nostro entusiasmo è forte, la soddisfazione di meritare ogni secondo in meno deve essere nostra, non abbiamo più 11 anni e speriamo altro nella vita di cui esser fieri.

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